Dopodomani arriva a casa nostra John e sarà ospite da noi per qualche giorno. E' uno dei nostri più cari amici, è irlandese e vive a Dublino. Da circa un anno è diventato quasi vegan, ovvero vegetariano in transizione vegan. A forza di frequentarci, come si usa dire...Chi va con lo zoppo impara a zoppicare!
Si ripropone, come ogni volta che viene da noi, la questione se andare a cena fuori una sera e dove. Alla fine abbiamo sempre optato per una pizzeria. Prima di tutto perchè non abitiamo in città e la voglia di digerire, prima che la cena, traffico e ricerca parcheggio è sempre più scarsa. E poi, soprattutto, Roma è città avara di buoni ristoranti vegan. Sono pochi e quei pochi non mi hanno mai soddisfatto.
Intendiamoci, qualche pastrugno lo sanno fare tutti, o quasi. Ma quando leggo, come qualche giorno fa, nel menu di uno di questi locali, un piatto del genere "seitan con crema di tofu", oppure in un altro il "risotto col seitan" (ma che è?!), beh...che volete che vi dica, a me la voglia di andarci passa. Ci mancava solo un po' di tempeh, un po' di umeboshi, e qualche altra diavoleria, per far venire fuori un piatto improbabile che però essendo vegan si è costretti a magnificare. Sognando poi, in tutta segretezza, un bel piatto di bucatini al pomodoro con melanzane fritte, come quelli che vi faceva vostra nonna, o una pasta e ceci, di quelle vecchia maniera.
Lo confesso. Io, qui a Roma, mangio vegan molto meglio nelle trattorie tradizionali o nei ristoranti tipici che nei locali veg. Qualche tempo fa, ad esempio, mi trovavo con dei parenti in centro storico e ho pensato di portarli da Giggetto al Portico d'Ottavia, rinomato ristorante della zona del ghetto, dietro Largo Argentina. Non potevo portarli in pizzeria, avendola loro già degustata a pranzo, ne' rischiare di portare mia zia - di una certa età - in un improbabile ristorante veg(etari)ano di dubbia appetitosità.
Ebbene, perfino nel tempio della cucina giudaico-romanesca, io ho mangiato divinamente: dal purè di fave ai carciofi alla giudìa al fritto di verdure in pastella (ho spergiurato che non ci fosse l'uovo causa allergia, una piccola bugia, mi si perdoni!) a un primo che ora non ricordo ma che era ottimo. Tutte ricette tipiche che non troverete mai in un ristorante veg. Ma perchè?!
Ovviamente gradirei di più degustare un carciofo fritto in un ambiente diverso, dove non girano piatti con contenuti macabri, va da sè. Ma se invece devo buttar giù seitan in salsa di tofu e sbobbette senza fantasia, di quelle che io mi preparo a casa per le cene frettolose dopo una giornata di ufficio...allora rimango a casa, non affronto traffico e tutto per mangiare due grani di miglio cotti alla bell'e meglio spesso da dilettanti e non da professionisti della ristorazione, da veri chef.
E qui si apre un altro discorso, quello degli chef vegan. Chiunque abbia mai pubblicato almeno una ricetta - più o meno di propria creazione o scopiazzata qua e là - è uno chef vegan. Le cose non funzionano così. In questo modo si deprezza e si avvilisce la gastronomia vegan. Un conto è mangiare in casa propria e un conto è farlo in un ristorante: le aspettative sono diverse.
Personalmente, mi aspetto di essere piacevolmente stupita, non con accozzaglie di ingredienti e sapori senza storia però, e chiedo anche che lo chef abbia cognizioni quanto meno migliori delle mie nell'accostare i diversi ingredienti (per favore, non mettete la finocchiella nel sugo al pomodoro, non si fa!), in breve, quello che chiunque chiede a uno chef professionista. Non perchè sono vegan non ho capacità di giudizio!
Vogliamo volare basso, non parlare di ristorazione di un certo livello? I vegan non hanno soldi da spendere (sebbene ci siano vegan ricchi e vegan poveri, essendo la nostra una categoria "trasversale", che non bada ai ceti sociali)?
Benissimo. Allora parliamo di trattorie alla buona. Al momento non ne vedo, almeno nei paraggi. Come ripeto, mi sono trovata meglio in trattorie alla buona di matrice onnivora dove ho trovato saporosissimi piatti vegan senza ingredienti esotici. Una delle mie preferite è la trattoria di Tuscania che dà sui giardini pubblici, non so il nome, ma chi è della zona la conoscerà di certo. Si mangia fuori d'estate e dentro d'inverno. Una pasta con i legumi non manca mai, spesso la pasta è fatta in casa. E i contorni sono saporitissimi. Basta prenderne due o tre ed ecco fatto il secondo per noi vegan. Niente tofu, niente abbinamenti improbabili, ma collaudata tradizione locale.
Se ne avessi la possibilità, ne aprirei una così, di trattoria. Un posto dove si mangino tutti i piatti tradizionalmente vegan della cucina italiana e quelli che vegan non sono, prepararli veganizzandoli. Allora sì, che mi puoi servire il seitan, ma alla pizzaiola o a scaloppina o a spezzatino (sfido un carnivoro a rendersi conto che è tutto vegetale!), oppure il tofu (perchè me lo metti ben camuffato nei ravioli "ricotta" e spinaci), e via dicendo. La parmigiana di melanzane, fatta col parmigiano vegetale (semi di girasole, mandorle, lievito a scaglie) e un gran tripudio di primi piatti e dolci tipici veganizzati (mai assaggiata la pastiera vegan? indistinguibile dall'originale!) e altro ancora.
Invece, niente, tocca mangiar bizzarro, oppure precotto, oppure arraffazzonato, o stracotto o poco saporito. Capisco che sia importante incoraggiare le realtà vegan, ma veniamoci incontro: voi ristoratori mi fate mangiar bene e io vi sostengo ancora meglio, vi glorifico addirittura. In fondo, non è gratis, vi pago e voglio andarmene soddisfatta.
Allora, intanto, noi ce ne stiamo a casa e imbastiamo per conto nostro delle belle cenette. In attesa che qualche vero chef ci regali dei momenti di pura estasi gustativa.
P.S. Un'idea di cosa mi piacerebbe davvero mangiare in un ristorante vegan, almeno nelle grandi occasioni? La trovate in questo
pregevole libro, di cui vedete qui sopra la copertina, che consiglio a tutti i miei lettori francofoni, anche solo per la gioia degli occhi.