martedì 31 gennaio 2012

Guardavo quei bei pesci muoversi nell’acqua

"Una sera il vecchio miliardario volle che cenassi con lui e la sua famiglia e mi invitò in uno dei famosi ristoranti di Wellington Street, quelli coi maialini di latte arrostiti appesi all'ingresso a sgrondare il grasso e, esposte sulla strada come fossero acquari, le vasche di vetro con dentro, vivi, i migliori pesci, gamberi e aragoste ad aspettare che un cliente, passando, dica: “Quello!” e la bestia venga pescata e cotta secondo l’ordinazione.

Non è vero, come sostengono alcuni, che sia stata la Bibbia col suo divino invito all’uomo a moltiplicarsi nel mondo su cui lui, solo lui, ha “il dominio” a creare la violenza carnivora della razza umana. I cinesi sono arrivati alla stessa violenza senza la Bibbia, e per millenni questa di cucinare con raffinata tortura ogni animale è stata parte della loro cultura, una parte fra l’altro che nessun regime e nessuna ideologia politica hanno mai osato sfidare.

Guardavo quei bei pesci muoversi nell’acqua, guardavo i maialini appesi agli uncini e pensavo a come, a parte la miseria e la fame, l’uomo ha sempre trovato strane giustificazioni per la sua violenza carnivora nei confronti degli altri esseri viventi. Uno degli argomenti che vengono ancora oggi usati in Occidente per giustificare il massacro annuo di centinaia di milioni di polli, agnelli, maiali e bovi è che per vivere si ha bisogno di proteine.
E gli elefanti? Da dove prendono le proteine gli elefanti?

L’argomento con cui un amico cercò di convincere Gandhi ad abbandonare la tradizione ortodossamente vegetariana della sua famiglia fu dello stesso tipo. Gli disse che gli inglesi erano capaci con pochi uomini di dominare milioni di indiani perché mangiavano carne. Questo li rendeva forti. Il solo modo di combatterli era di diventare carnivori come loro. 

Una notte allora i due amici vanno in riva al fiume e per la prima volta Gandhi mangia un boccone di carne di capra, tradendo così la fede dei suoi genitori e della sua casta. Ma sta malissimo. Non digerisce e ogni volta che cerca di addormentarsi gli pare di sentire nello stomaco il belare della capra mangiata, come racconta nella sua autobiografia. In tutta la sua vita Gandhi non toccò più un pezzo di carne, neppure nei suoi anni da studente in Inghilterra dove tutti gli dicevano che senza carne non avrebbe potuto resistere al freddo. 

Io, per cultura, non mi ero mai chiesto se ero vegetariano o meno. A casa mia, da ragazzo, mangiar carne era normale, se potevamo permettercela. Succedeva di solito alla domenica. Quando Angela (sua moglie ndr) e io arrivammo in India nel 1994 eravamo ancora tutti e due carnivori e per un po’ continuammo a esserlo.
Una volta alla settimana un musulmano si presentava alla porta di casa con una impeccabile valigia dalla quale tirava fuori dei pacchi sanguinolenti con filetti e bistecche di manzo. Poi un giorno Dieter, l’amico fotografo tedesco, indicandomi per strada un branco di vacche attorno a un deposito di spazzatura, intente a mangiare sacchetti di plastica, scatole di cartone e giornali, disse: “Ecco quel che mangi con la bella carne del tuo musulmano. E pensa al piombo di tutta quella carta stampata!” Aveva assolutamente ragione. 

Pur permettendosi di macellare le mucche che gli Indù ritengono sacre, il nostro musulmano non aveva certo uno speciale pascolo di erba fresca dove mandare le sue vittime e quel che ci portava erano pezzi delle malaticce mucche di strada alimentate di rifiuti.
La molla a smettere fu quella. Poi, col passare del tempo, mi sono reso conto che, non considerandoli più come cibo, cominciavo a guardare gli animali diversamente da prima e a sentirli sempre di più come altri esseri viventi, in qualche modo parte della stessa vita che popola e fa il mondo. La sola vista di una bistecca ormai mi ripugna, l’odore di una che cuoce mi dà la nausea e l’idea che uno possa allevare delle bestie solo per assassinarle e mangiarsele mi ferisce.

Il modo perfettamente “razionale” in cui noi uomini alleviamo gli animali per ucciderli, tagliando la coda ai maiali perché quelli dietro non la mordano a quelli davanti, e il becco ai polli perché, impazzendo nella loro impossibilità di muoversi, non attacchino il vicino, è un ottimo esempio della barbarie della ragione. Ma anche la verdura è vita ! mi sento dire dagli accaniti carnivori, sordi a ogni argomento, come se a cogliere un pomodoro si facesse soffrire la pianta come a strozzare un pollo, o come se si potesse ripiantare una coscia d’agnello nel modo in cui si ripianta il cavolo o l’insalata. Le verdure sono lì per essere mangiate. Gli animali no! Il cibo più naturale per l’uomo è quello prodotto dalla terra e dal sole. Il miliardario non arrivava. Io guardavo i maialini e chiedevo, tra me e me, a chi li avrebbe mangiati: “Avete mai sentito le grida che vengono da un macello?” Bisognerebbe che ognuno le sentisse, quelle grida, prima di attaccare una bistecchina. In ogni cellula di quella carne c’è il terrore di quella violenza, il veleno di quella improvvisa paura dell’animale che muore. 

Mia nonna era, come tutti, carnivora, se poteva, ma ricordo che diceva di non mangiare mai la carne appena macellata. Bisognava aspettare. Perché? Forse i vecchi come lei sapevano del male che fa mettersi in pancia l’agonia altrui. Perché quella che chiamiamo eufemisticamente “carne” sono in verità pezzi di cadaveri di animali morti, morti ammazzati. Perché fare del proprio stomaco un cimitero? Angela continua a mangiare carne, se le capita. Per me è impossibile. Ma non è più una questione di salute, di non ingurgitare il piombo dei giornali ruminati dalle vacche di strada. E’ un problema di morale. Ecco un piccolo, bel modo per fare qualcosa contro la violenza: decidere di non mangiare più altri esseri viventi.



Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra,  Longanesi, 2004

domenica 29 gennaio 2012

Ci si mette anche Harvard


La Harvard School of Public Health sottolinea la sua posizione riguardo a latte e latticini da quando i suoi ricercatori hanno inviato al Dipartimento dell'Agricoltura  statunitense (USDA) e ad associazioni internazionali di nutrizionisti la loro guida alimentare Healtht Eating Plate. Questa non è altro che un sostituto della tradizionale piramide alimentare, peraltro non aggiornata da molti anni.

Gli esperti di Harvard sostengono che questa guida è basata sulle ricerche su una sana alimentazione e non è influenzata dalle lobbies dell'industria alimentare (come in genere accade).
La ricercatrice Michelle Schoffro Cook sostiene che l'assenza di prodotti caseari nel Plate si basa sulla valutazione che l'assunzione di elevate quantità di latticini possono aumentare il rischio di cancro alla prostata e probabilmente del cancro alla ovaie. Gli studiosi fanno riferimento anche all'alto livello di grassi saturi dei prodotti lattiero-caseari e suggeriscono che cavolacei, legumi  e latte di soia fortificato rappresentano scelte più sicure per i "rifornimenti" di calcio.
Così, non solo il latte è frutto di inimmaginabile sofferenza da parte dei bovini negli allevamenti, ma provo anche - come da anni andiamo diffondendo - malattie tra le più temibili anche agli esseri umani. Il latte vaccino ingerito da esseri umani (vogliamo ricordarcelo che il latte di un mammifero nasce destinato ai piccoli della sua propria specie?) può essere causa di cancro, diarrea, anemia, crampi, mal di testa, eruzioni cutanee, asma e altre delizie.Siamo l'unica specie che ingerisce le secrezioni mammarie di un'altra specie, e oltretutto anche da adulti.

Quando vedo la gente al bar che sorbisce latti macchiati e cappuccini, provo un gran senso di pena pensando alla violenza a monte di quel semplice gesto meccanico. Ordinare un cappuccino al bar pare essere la cosa più banale del mondo. A me, oltre al fatto meramente etico, fanno pure un po' pena gli umani, grandi e grossi, che ancora ciucciano latte, a casa o al bar, come fossero infanti. Come può venire in mente ad un adulto di buttar giù un cibo per l'infanzia e oltretutto di un'altra specie animale? Individui giuggioloni che a questo punto dovrebbero essere meno ipocriti: chiedessero che il lattuccio venga loro servito in un biberon invece che in tazza, con il conforto di un orsacchiotto di peluche da abbracciare nel frattempo. Adulti che non vogliono crescere e che poi si crucciano della scoperta di un cancro, là, proprio alla prostata o al seno, come se fosse caduto dal cielo.




martedì 24 gennaio 2012

HoboArt: una scoperta a Roma

Tempo fa, il prezioso nonché talentuoso Claudio, uno dei miei blogger preferiti su piazza nazionale, mi aveva segnalato un nuovo locale qui a Roma dove era possibile mangiare vegan senza troppi fronzoli, senza troppi mischietti e pappine, e a prezzi non imbarazzanti, come spesso succede nella nostra città.
Mi sono sempre dimenticata di rispondergli, lasciai la mail in bozza e lì rimase, ma non ho dimenticato la sua segnalazione, sapendolo lucido critico di realtà vegane spocchiose. Per cui, ho invitato il mio caro amico Alessandro ad andare in avanscoperta, essendo il locale situato in una zona non lontana dal suo luogo di lavoro.

Alessandro mi ha raccontato dunque che il posto - HoboArt - è carino, semplice e accogliente. Vengono offerti due menu, uno da 7 e uno da 10 euro. Lui ha scelto il secondo che ha compreso: pane di Lariano, vino rosso (non ricorda se era incluso o meno...), un piatto misto di circa cinque componenti, tra cui spaghetti di riso e di soia con verdure, pappardelle di patate dolci, e altre pietanze di verdure varie,  il tutto ben condito, gustoso, anche se con l'utilizzo di poco sale e quindi probabilmente sapientemente insaporito con spezie ed erbette aromatiche. Era compresa una zuppa, che in quel caso era più che altro un minestrone di verdure e legumi, buono e che si suppone cambi di volta in volta nelle varie serate. 
Tra le altre cose, le posate sono di bambù non trattato. Inoltre, il sommelier sembra ben preparato su vini e grappe. Il dolce non è incluso, quella sera c'erano tre torte tutte vegan: crostata di visciole, torta pere e mandorle (buonissima) e cioccolato e carruba.
L'ambientazione è, come si diceva, piuttosto accogliente e calda, praticamente si mangia circondati da librerie belle piene di volumi e luci soffuse. Un posto dove mi riservo di andare quanto prima e dove vi invito a recarvi, raccontandomi le vostre impressioni.

HoboArt è in via Ascoli Piceno 3, quartiere Pigneto.






domenica 22 gennaio 2012

Piadina degli dèi

Mai come questa volta ho fatto passare tanto tempo non scrivendo sul mio blog. Una turbinosa vita quotidiana mi ha fatto lasciare da parte le cose che amo di più, come appunto scrivere qui ed entrare in contatto con chi mi legge.  A questo proposito, non posso non condividere con voi la ricetta, se così si può chiamare, della piadina che mi sono preparata ieri a pranzo. Mugolii di piacere hanno accompagnato la sua degustazione, accompagnata da una birretta fresca e da un bel sole caldo, qui fuori, sugli scalini di casa.

Avevo comprato una confezione di piadine di una marca che non conoscevo ma che a questo punto vi consiglio, ovvero questa:


Fortunatamente non è esattamente una "vera piadina romagnola", perché non è fatta con il consueto strutto ma con olio d'oliva, e si sente.
Ho acceso il forno e quando era bello caldo, ho messo la piadina piegata in due sulla piastra ripiena di formaggio vegetale Montanero tagliato a scaglie. Dopo qualche minuto, quando il formaggio iniziava a filare, l'ho tirata fuori dal forno e ci ho aggiunto:
  • qualche cucchiaiata di mostarda di fichi (gentilmente offerta dalla mia amica Anna di ritorno da Merano)
  • una fetta di muscolo di grano nella versione Affettato Roast tagliata a sottili listarelle
  •  soncino e rughetta in abbondanza


Ragazzi, che buona! Sarà stato il sole, sarà stata la compagnia (ero attorniata da tutta la banda, cinque tra canidi e felini), ma raramente avevo mangiato qualcosa di così lussurioso e soddisfacente. Resta la questione della mostarda di fichi: dove trovarla? Io me la sto centellinando. Forse dovrò recarmi nei pressi di Merano per farne una scorta? Oppure negli studi televisivi di Chi l'ha visto?
In ogni caso, la cercherò.