Anche quando ne parlano bene, ne parlano male. Del veganismo, intendo.
Leggevo l'altro giorno uno stralcio di giornale pubblicato su Facebook dove si parlava di una serata con cucina vegan a cura della Lav di Trieste e più in generale di cosa mangiano i vegan, non solo insalatine, e compagnia bella. Che bello, direte voi. Si, ma...
Il malcapitato giornalista, probabilmente ignaro fino al momento della compilazione dell'articolo anche della mera esistenza dei vegan, si inerpica sin dall'inizio in una spericolata disquisizione sulla "filosofia" vegan, sottolineando concetti come "astinenza" (se penso a quello che ho ingurgitato oggi, non riesco a far rientrare il termine astinenza in nessuna fase della giornata, casca male, sarà che ho fatto pure 15 km di camminata e non so cosa sono riuscita a divorare, sia prima che dopo), eventuali "tinte religiose", "culto alimentare" e altre castronerie del genere.
Fino al consueto definire i vegan come la "frangia estrema del vegetarianesimo", alè.
Insomma, dei matti. Dei soggetti che io fuggirei come la peste, a fidarmi di questa descrizione a tinte fosche. Gente che veste caffettani e calza cioce primitive, che danza intorno a un fuoco ove bollono cavoli e patate, inneggiando a una qualche deità a forma di melanzana e celebrando rituali degni di Obelix, magari abbracciati a un menir. Con tanto di Assurancetourix declamante poesie e sonando ballate,mentre gli astanti si apprestano in religiosa contrizione a sbocconcellare pommidori.
Gente che quando piove indossa camicioni bianchi e coroncine di fiori sul capo, possibilmente adorno di riccioli biondi, e danza compulsivamente per le strade con occhi riversi al cielo?
Nessuno dei vegan che conosco assomiglia anche in minima parte a questo genere di soggettoni. Anzi, e non è necessariamente un vanto, la maggior parte dei miei conoscenti è gente dalla spiritualità piuttosto carente, almeno nel senso più comunemente e retoricamente accettato, di appetito vigoroso e "tradizionale", gente che se gli servi lo zucchino bollito te lo tirano dietro e non a mo' di boomerang, pretendendo ben più vigorosi piatti di pasta e fagioli, fiaschi di vino e ateissime bruschette all'aglio.
Gente che vive nel secolo, impiegati, artigiani, studenti, etero, gay, giovani, adulti, anziani, gente che non distingueresti per strada da un onnivoro se non per un aspetto visibilmente più in salute, difficilmente dall'aspetto rubizzo, da infartuandi per intenderci, o con pance degne di gravidanze, anche se trattasi di individui di sesso maschile. O, se nel caso fosse mantenuta l'apparenza, dall'odore solforoso della pelle (lo so, nessun onnivoro ci crede, ma sfido un vegano a non sentir puzzo di zolfo accanto a chi ha appena mangiato galline o loro secrezioni).
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tipo esponente del culto vegan (peraltro mi è pure simpatico) |
Se penso - ad esempio - alla mia amica Francesca, con cui ho la ventura di condividere gran parte della mia giornata, essendo noi colleghe di lavoro, credo che lei sia esattamente l'opposto di quella descrizione esoterica: sobria, madre di famiglia, dissacrante quanto basta, non saprei come immaginarla parte di una "frangia estrema" di qualunque cosa.
Non ci siamo proprio. Cosa è estremo e cosa è anomalo? E' dunque" normale" che a qualcuno venga l'acquolina in bocca al cospetto di un cartellone pubblicitario di un supermercato per strada, come quello che ho visto inorridita un paio di ore fa tornando a casa, in cui si mostrano brandelli di carni di un agnello da latte e la promozione in corso per acquistarlo?
Un agnello da latte. Un prezzo. Una promozione.
Per gente "normale". Non per frange estreme.
P.S. Una postilla: tra i miei conoscenti, vegan, e parlo in particolar modo di persone di cui ho grande stima, non ci sono solo atei e agnostici, ma anche cattolici, induisti, islamici (incredibile ma vero), protestanti, hare khrisna, e così via. Questo a dimostrazione della grande eterogeneità della "setta vegana".