lunedì 19 gennaio 2009

The Carrot Some Vegans Deplore

Da un articolo di qualche tempo fa del New York Times: The Carrot Some Vegans Deplore (di Lisa Bauso).
Ci sono due cose che potete trovare in abbondanza a Portland, nell'Oregon. Una sono i vegan e l'altra gli strip clubs. Nel locale Casa Diablo hanno pensato di unire i due fattori. Le proteine della soia rimpiazzano quelle della carne nei tacos e nei chimichangas. Le ballerine vestono in pleather (=plastic leather) e non in pelle. Molte di loro stesse sono vegane o vegetariane.

Ma Portland è anche un posto pieno di giovani femministe, le quali non sono tanto contente del business di Casa Diablo. Da quando è stato aperto il locale, le ostilità sono state aperte.

Mr. Diablo, il proprietario, vegan anche lui, dice che lui non veste e non mangia animali da 24 anni ed è soprattutto preoccupato della questione della crudeltà nei confronti degli animali. Ha detto: "Il mio scopo su questa terra è di salvare quante più possibili creature dal dolore e dalla sofferenza"

Gli animalisti in realtà temono che questa tattica porti sì all'attenzione sulle questioni che interessano noi tutti ma per le ragioni sbagliate. D'altro canto, la stessa PETA è stata più volte accusata di utilizzare delle celebrità fotografate senza veli per le sue campagne di sensibilizzazione animaliste.

Isa Chandra Moskowitz, autrice di libri di ricette, è tra quelle che pensano che questo tipo di immagini non faccia gioco al messaggio vegan: "Come femminista, non posso essere d'accordo con l'idea di utilizzare corpi femminili per vendere il veganismo, così come di utilizzare il veganismo per vendere corpi femminili".

La questione del sessismo nei circoli vegan è molto dibattuta, dice Bob Torres, uno degli autori di “Vegan Freak,” una guida al vegan lifestyle. Torres, come molti altri vegan, ripudia l'idea che in questi casi il fine giustifichi i mezzi, non si può - ribadisce - avere attenzione soltanto per la sfruttamento degli animali e non a quello - come in questo caso- del corpo femminile

Carol J. Adams, autrice di “The Sexual Politics of Meat,” la bibbia della comunità vegan americana, sostiene che i diritti delle donne e quelli degli animali camminino di pari passo. La Adams fa risalire l'inizio di questa relazione agli anni intorno al 1890. “Alcune sufraggette femministe diventarono vegetariane” dice la Adams, vegetariana da quando nel 1974 ha vissuto in una comunità femminista a Cambridge, nel Massachussets. Aggiunge che le femministe sono state le prime ad adottare il vegetarianesimo nel mondo occidentale. Negli anni 70 molte femministe dissero: “Non voglio essere un pezzo di carne. Non voglio più mangiare un pezzo di carne ”.

D'altronde gli hamburgers e le bistecche sono considerate negli States quasi emblemi stessi della mascolinità. I cibi vegetariani vengono vissuti come un attentato alla loro virilità e Mr. Diablo, attento osservatore dei costumi nel suo locale, lo conferma. Infatti Casa Diablo non ha avuto affatto il successo sperato.

“Il sesso è ciò che attira l'attenzione più di ogni altra cosa” si difende Ingrid Newkirk, la presidente di PETA “Cerchiamo di raggiungere il più possibile numero di persone con differenti modalità”. E aggiunge che nelle loro campagne non sono solo donne a farsi fotografare nude ma anche uomini.

Voi cosa ne pensate?

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Penso che il marketing sia sempre qualcosa di repellente. Tuttavia, premesso che questa iniziativa non mi paia propriamente una mossa di marketing per promuovere il veganismo, e che già in concetto stesso di dover "vendere" il veganismo sia piuttosto avvilente, dico che è sempre con la psicologia delle masse che bisogna fare i conti; dunque, vale la pena ricordarsi che qualsiasi tattica usata per avvicinare la gente al veganismo, per accattivarsene la simpatia, che non consista nel semplice mostrare quali sono i fatti e l'informare è GIA' una forma di "prostituzione", di compromesso con gli ideali dei quali dovremmo essere portatori.
In quest'ottica, varrebbe la pena chiedersi se sia interesse nostro salvare la vita degli animali o crogiolarsi nel nostro idealismo. Se l'intenzione è la prima, allora agire "nel sistema" è una triste necessità; molto più produttivo dell'isolarsi nell'eremo, come qualcuno ci consiglierebbe, a noi utopisti.
Dunque, queste polemiche, da parte di chi comunque nel sistema si muove, le trovo una puerile perdita di tempo.
La critica e la condanna della mercificazione del corpo femminile, come del sessismo, avviene a monte, ma addirittura preoccuparsi della "cattiva luce" potenzialmente gettata da iniziative come questa sul movimento animalista è alquanto cretino, e di problemi infinitamente più grandi dei quali occuparsi ci sono, mi pare.
Dovrei forse preoccuparmi di criticare e screditare chiunque, pur dicendosi vegano, non sia anarchico come me, o non sia ateo, o finanzi altre forme di sfruttamento umano ( e oggi è praticamente impossibile non farlo)per essere coerente con me stesso? no, semplicemente, si cerca di sensibilizzare su ogni fronte ben consci che il risultato sarà parziale e che, chiedendo 100 si otterrà 20, nulla di nuovo.
Un altro aspetto che denota ingenuità in molti attivisti - non solo in questo ambito - è inoltre la preoccupazione di risultare "credibili" da cui scaturisce la paura di "perdere credibilità". Il fatto è che la percentuale di esseri umani portati naturalmente verso il veg*anismo, seppur mancanti di stimoli decisivi, è ristretta e questo è un problema che non ha certo a che vedere con la nostra "credibilità", poichè non siamo un partito politico e non dobbiamo prendere voti: chi vuole capire, capisce al volo; chi ha bisogno di trovare credenziali e "credibilità" è già in malafede o irrimediabilmente ottuso, mi si perdoni la franchezza. Ecco perché queste sono preoccupazioni inutili.
"Cerchiamo di raggiungere il più possibile numero di persone con differenti modalità”...purtroppo bisognerebbe far notare alla Newkirk che per "raggiungere" un numero di persone superiore alla media di 8/10/% del totale, l'unica modalità è L'IMPOSIZIONE, la propaganda mediatica ed il condizionamento sociale imposto da un gruppo di potere, non vi è alternativa, nel mondo reale. Quindi, credo che sia più pratico e meno dannoso mostrare consenzientemente 2 culi, se necessario, prima che, con l'istinto alla libertà, riescano a reprimere anche quello sessuale.
Avrò detto anche delle banalità, ma in compenso, sono stato anche prolisso.

Ariel ha detto...

è da quando ho pubblicato questo articolo che sto cercando una risposta al quesito morale qui posto
Più o meno le conclusioni sono quelle a cui sei pervenuto tu. Un eccesso di ingenuo idealismo può non funzionare, anzi non funziona proprio, sulle masse.Forse due tette sì. Non è giusto, non è bello. Ma se una star decide di stare al gioco e vi si presta, io dico sì, il fine può giustificare i mezzi. Non lo penso a cuor leggero ma al momento i mezzi sono assai scarsi, nessun gruppo di potere, come dici tu, impone o propone alternative. Ergo...

Anonimo ha detto...

Già. Per non parlare poi di questo concetto selettivo della "mercificazione" umana/femminile: lo spregiudicato edonismo dello spogliarello no, l'austerità del lavoro in fabbrica o al call centere e della schiavitù domestica, immagino sì. Beh, questo, a casa mia ha più a che fare con la "morale" che con l'etica. Se il problema è la mercificazione, allora si dovrebbe condannare TUTTA la mercificazione, non solo le veline.
Io ritengo, personalmente, prostitute e pornostar (che peraltro sono spesso animaliste convinte)per scelta inconsapevolmente fra le femministe più lodevoli e consapevoli.
Senza ipocrisie, qualsiasi uomo assennato, sceglierebbe, potendoselo permettere, di fare il gigolò o lo streapper piuttosto che il minatore e chiunque critichi questa stessa scelta da parte di una donna, è egli stesso un sessista.

Anonimo ha detto...

Illuminante osservazione, Fu'. Ovidie Becht concorderebbe alla grande. Ed Ovidie Becht è pornoattrice, filosofa, femminista e vegana.
Inoltre, una delle battaglie del femminismo più moderno è proprio la rivendicazione del diritto delle donne di fare o fruire del porno al di là della mercificazione e dello sfruttamento per riappropriarsi della libertà di scegliere il piacere nei modi e nelle forme preferite.
Quanto al tema del post: come ha già detto Fulvio, il marketing è di per sé una cazzata e siamo d'accordo. Anche questo genere di iniziative, dunque, è una cazzata. Se queste cazzate però portano un paio di vegani nuovi in più, che si cazzeggi pure, laddove nessuno viene danneggiato.
E poi la tizia nella foto è una gran figa. Mi pare un'ottima testimonial per gli effetti benefici dell'alimentazione vegetaliana.

Ariel ha detto...

Non sapevo che Ovidie Becht fosse vegana, grazie della info. Cerco di saperne di più.

Per il resto, concordo con: "Se queste cazzate però portano un paio di vegani nuovi in più, che si cazzeggi pure, laddove nessuno viene danneggiato"
Solo lamentando la latitanza di gran fighi gnudi testimonial vegan. Se pur non in mutande o senza, ma ancor vestito, al momento mi viene in mente un Lenny Kravitz. E già solo il pensiero mi corrobora.